IL NOSTRO PRIMO VIAGGIO NELL’AFRICA VERA:
Con mia sorella Simona siamo partite a fine gennaio da Matera in Basilicata, abbiamo preso tre voli aerei per raggiungerli in Tanzania iniziando il viaggio da Bari poi scalo a Roma, ripartite da Roma con un’altro scalo a Istanbll e da lì siamo poi arrivate a Dar es Salaam. In aeroporto siamo state avvolte da “un’areata afosa”, faceva caldissimo, eravamo tantissimi era piena notte e dopo aver presentato il visto e superato i vari controlli della polizia aeroportuale abbiamo visto il “nostro” maasai Willy ad attenderci all’uscita. Abbiamo preso un taxi e siamo arrivati finalmente in albergo, erano quasi le ore 5,00 del mattino.
Ci siamo riposate qualche ora e verso le ore 08,00 ci siamo dirette in sala colazione, abbiamo conosciuto la moglie di nome Cristina e la piccola Nassy, la loro nipotina, e abbiamo espresso il desiderio di visitare la città di Dar es Salaam. Ci organizzarono il “tour” con un “bajaji”, è il tipico mezzo locale a tre ruote che funge da taxi uguale alla nostra Ape-Piaggio ma modificata con l’aggiunta di sedili ed una tettoia al posto del cassone. Eravamo in cinque più l’autista, cose da pazzi ma ci siamo divertite un sacco (una di noi era seduta sopra una grande cassa stereo)!! (cambiamo dei soldi in valuta locale, compriamo una sim card telefonica locale per i nostri cellulari). Abbiamo pranzato in spiaggia e ci siamo fatte mettere lo smalto 😝
Il giorno dopo alle ore 04,00 è suonata la sveglia, ci siamo avviati verso la stazione dei bus che si trova a due passi dal nostro albergo, Willy fischiò ad un ragazzo che passava e caricò le nostre valige su un carrettino a due ruote aiutandoci a trasportarle fino al nostro bus. Notavamo tantissima gente che correva da una parte all’altra, centinaia di bus in partenza e un caos totale, noi siamo rimaste incollate a Willy per tutto il tragitto a piedi (c.a. 10 minuti), Cristina dietro a noi con la sua bimba in braccio e una volta sul bus abbiamo iniziato a documentare il tutto con la nostra reflex, il viaggio più bello della nostra vita.
Nove ore di bus passando da zone verdi a zone aride, paesaggi meravigliosi, villaggi e babbuini in mezzo alla strada nella pace più totale, le strade non erano sempre asfaltate e in alcuni momenti sembrava di stare su una giostra, ad ogni fermata c’era gente che saliva e scendeva. Appena sostava qualche attimo il bus veniva accerchiato da venditori di bibite e cibo (pannocchie bollite o grigliate, frutta e biscotti) ti passavano dal finestrino ed alcuni addirittura salivano sul bus per una tratta e scendevano alla fermata successiva pur di vendere qualcosa, pagando il normale importo del biglietto.
Verso metà percorso c’è una tappa obbligatoria di controllo dei mezzi, a terra si trova una bilancia che pesa i bus e se non rientrano nel peso a norma scatta la sanzione obbligandoli a scaricare sia cose che persone in quell’istante. Superata la città di nome Handeni iniziano ben tre ore di strada solo sterrata, ma proprio in questo tratto nessuno controlla niente, inizia la vera vita africana, a questo punto ci sono stati momenti in cui eravamo veramente in tanti su questo mezzo disastrato e il calore della savana cominciava a farsi sentire, fanno salire chiunque e si notavano persone anche aggrappate all’esterno del bus.
Al nostro arrivo a Kiberashi ci attendevano i maasai Jacopo (fratello di Willy) e il cugino Manuel (i nostri personal driver per tutta la nostra permanenza al villaggio). Saliamo nelle loro super moto piene di lucine colorate e dotate di casse stereo con musica a tutto volume “ahahhaha”, nell’altra moto hanno caricato e legato le nostre quattro valigie (2 grandi e 2 più piccole) noi non volevamo crederci, pensavamo non sarebbero arrivate integre al villaggio “ahhahaha” scusate le nostre risate ma ritornando a quei momenti risale il ricordo di quanto ci siamo divertite, non era una situazione a noi non molto normale ma è proprio la vera originalità tipica africana che rende bello e unico questo viaggio.
Arrivate a casa maasai di Cristina e Willy ci siamo trovate circondate dalle donne e i bambini del villaggio ansiosi di conoscerci, è stato molto emozionante vedere persone che non ci conoscevano ma che ci aspettavano con tanta gioia ma questo popolo maasai è così, sa trasmettere serenità ed allegria. Dopo i saluti “Ima” (in lingua maasai significa mamma) la mamma di willy, si allontana verso la sua casa (una capanna a fianco della casa di Cri) per poi ritornare da noi con un buon “chai” (the maasai) di benvenuto per farci sentire come a casa.
“Questi gesti e quel calore rimarranno per sempre nel cuore”
Nel vivere questa esperienza ci vuole anche un po’ di fortuna e noi l’abbiamo avuta, siamo state invitate ad una vera cerimonia maasai organizzata in onore di un passaggio di ruolo di alcuni ragazzi, “la circoncisione maschile” in un villaggio di nome Elerai. Prima di partire per il villaggio le donne masai ci hanno “ingioiellate” con collane e bracciali, eravamo davvero pronte. La partecipazione è stata spettacolare, il sogno di una vita, non riuscivamo a credere di stare in mezzo ad un vero party maasai e in terra maasai nella savana a ballare insieme a loro con al collo le loro collane e di essere ospitate nelle loro capanne semplicemente a bere un po’ di chai in loro compagnia.
Molto emozionante è stato dormire con le donne masai nella capanna della mamma di Willy sull’originale letto maasai con la pelle di mucca al posto del materasso, erano incredule volessimo veramente dormire con loro. Una sera, a dormire nella stessa capanna eravamo in sette più le galline, i gattini e le pecorelle, l’odore del fumo, la terra che ogni tanto cadeva e la mattina il gallo che cantava sotto il letto è il gattino che si sdraiava sui piedi e il nostro piccolo masai Jeremy che vegliava ai nostri piedi pronto ad intervenire in caso di necessità.
Per adesso sappiamo di essere state le prime e le uniche italiane dopo Cristina a dormire con loro nel villaggio della famiglia di Willy. Crediamo inoltre, che se si decide di fare un’esperienza come questa bisogna viverla a pieno senza lasciarsi prendere da nessun timore, da lontano sembra tutto difficile ma entrando nella loro realtà tutto sembra più semplice. Non parlavamo la loro lingua, ma gli occhi, il sorriso e i gesti sono bastati per far nascere un grande affetto.
Accanto alla casa di Tina e Willy si trovano una scuola ed una Chiesa, sono un popolo molto credente e abbiamo avuto la fortuna di assistere al loro rito domenicale, una vera festa! Si cantava e si ballava; le più anziane dicevano le loro preghiere ad alta voce ringraziando sempre il Signore per quel poco che hanno.
LA CASA DI CRISTINA E WILLY “E’ UN PORTO DI MARE” CI SONO MAASAI CHE VANNO E VENGONO, HANNO DEDICATO UN’ANGOLO PROPRIO TUTTO A LORO ED HANNO OTTIMI RAPPORTI CON TUTTI.”
Uno degli ultimi giorni di permanenza da Maasai Travel Life ricordiamo di aver assistito, ad una riunione di solo uomini masai, un mattino l’angolo terrazza a casa di Cristina era occupato da tanti maasai che discutevano della necessità di avere una seconda scuola per i bambini più grandi e dove costruire. Io e mia sorella siamo state felici di contribuire alla colletta che stavano iniziando a raccogliere tra di loro.
Pensiamo che noi riusciamo a spendere un sacco di euro per avere un iPhone che ormai tanti abbiamo in tasca, basterebbe davvero poco a dare una mano ai maasai per aiutarli a terminare la scuola, a loro costa tanti sacrifici, come ad esempio vendersi una capra o una mucca. Cristina ci ha tenute aggiornate sui lavori e costruzione della nuova scuola anche una volta tornate in Italia e vederla ora, anche se non è ancora pronta mi riempie di gioia.
Per adeguarci allo stile locale, ci siamo fatte accompagnare a Kiberashi in un salone da due sorelle parrucchiere e ci siamo ritrovate con delle treccine spettacolari passando tutta la giornata con loro, pensate che una di loro “mama Baraka” era al nono mese di gravidanza e aveva un pancione enorme. Ci sono volute otto ore di lavoro, ma ne è valsa la pena per le nostre fantastiche acconciature. Il giorno dopo siamo venute a sapere che la ragazza dopo le prime contrazioni era andata da sola in ospedale per partorire e nei giorni seguenti siamo andate a trovarla a casa per conoscere la sua meravigliosa bimba.
Tutti i nostri spostamenti li abbiamo fatti sulle nostre super moto con la musica a tutto volume! Ricordo ancora la canzone preferita di Jacopo, “Gigamo pesa”, che ascoltava in continuazione….
Abbiamo visitato tanti altri villaggi e tribù, siamo state al mercato di Gombero e abbiamo avuto anche l’onore di assistere e fare il tifo durante un derby di calcio tra il nostro villaggio maasai e il villaggio di un’altro paese. Alla fine di ogni escursione si faceva tappa a Kiberashi dove c’è qualche negozietto e passavamo dal bar per mangiare qualcosa o a bere del chai. Lì si creava il “Tratto” come diciamo a Matera, ovvero il passeggio, era il ritrovo tra maasai e non solo. Passavamo le ore lì tra una chiacchiera e l’altra, l’orologio in Africa non esiste, “Pole pole” (piano piano) è l’unica parola consentita, tutto andava a rallentatore, tutto veniva fatto con la massima calma e tranquillità. Tornare in Italia con i ritmi accelerati e i mille impegni non è stato per niente semplice.
in conclusione; VIAGGIO/ESPERIENZA riuscito e SUPER CONSIGLIATO:
Quando si decide di fare un’esperienza come questa è importante viverla appieno, abbandonando ogni timore o pregiudizio. Non parlavamo la loro lingua, ma i gesti, gli sguardi e il sorriso sono bastati per far nascere un grande affetto. Ci siamo legate veramente tanto a loro! Seguiamo sempre le dirette di Cristina che magicamente accorciano le distanze tra l’Africa e l’Italia e qualche volta riusciamo a vederci tutti grazie alle video-chiamate. Non vedo l’ora di riabbracciarli tutti, mi mancano un sacco!
Vi salutiamo con tanta nostalgia e contiamo di ritornare presto tra voi
Chiara e Simona